La psico-immunologia in parole semplici …
Del Covid-19 e quant’altro.
di Gianni Tadolini
Non v’è dubbio: negli ultimi due mesi il mondo si è riempito di paura. Questa pandemia – di cui si è molto parlato, probabilmente troppo – ha portato con sé una densa scia di paura, scatenando fantasmi interiori, individuali e collettivi, come non se ne vedevano, almeno nella nostra Europa, da lungo tempo.
È appunto di questo sentimento, al contempo semplicissimo e complesso, che vorrei dire qualcosa, qualcosa che almeno si avvicinasse alla considerazione scientifica, magari osando in fine anche un giudizio morale (me lo si consenta) su coloro che di paura, in questi mesi, ce ne hanno fatta avere tanta.
La paura è un sentimento antico, certamente data milioni di anni. Siccome è collegato in gran parte ad un’area del Sistema Nervoso Centrale detta Sistema Limbico, assume più o meno l’aspetto che conosciamo oggi noi umani (quindi con le strategie comportamentali che sappiamo essere reazione al sentimento stesso) progressivamente, col configurarsi della classe dei mammiferi placentati, alla quale apparteniamo. Quando parlo di “configurazione” biologica di questa classe intendo quel lungo processo evolutivo che portò i primitivi sinapsidi (300 milioni di anni fa) a diventare uomini, cani, mucche, tigri, gazzelle, elefanti e tutte le altre 5.400 specie che compongono appunto questa categoria tassonomica: i mammalia, come li volle catalogare il grande Linneo nel 1758.
Allora, un mammifero del Triassico o del Giurassico – che già comunque allattava, educava e difendeva i suoi cuccioli – viveva probabilmente sentimenti di paura abbastanza simili ai nostri, sia in termini di reazioni comportamentali e di vissuto, che relativamente a quei meccanismi funzionali e biochimici ad esse correlati; il terrore è tale per me come per un mammut del Pliocene, 4 milioni di anni fa. E cosa fa un mammifero, di ogni tempo e luogo, quando è invaso da una forte paura? Ha tre modelli di reazione:
• scappare,
• aggredire,
• paralizzarsi,
non ne esistono altri.
Dalle neuroscienze abbiamo appreso che i comportamenti di allerta, attacco e fuga sono governati dall’attività di un ramo del Sisma Nervoso Periferico, il cosiddetto Sistema Simpatico, mentre gli stati di quiete, stasi, rilassamento e distrazione presuppongono sia una parziale disattivazione dei toni simpatici, sia l’emergere di meccanismi fisiologici scanditi dal cosiddetto Sistema Nervoso Parasimpatico, altresì conosciuto come asse del Vago, dal nome di un importante e lungo nervo, appunto il Vago. I sistemi Simpatico e Parasimpatico, in un certo senso, sono tra loro antagonisti: o comanda l’uno, o comanda l’altro.
Un mammifero sano, nella sua giornata, alterna fasi di prevalenza dell’attività simpatica a fasi di recupero dell’attività vagale. Un esempio: quando lavoriamo, discutiamo, ci arrovelliamo nelle faccende della giornata abbiamo una prevalenza simpatica, mentre quando ci rilassiamo, sonnecchiamo, mangiamo, andiamo in bagno, ascoltiamo Mozart, abbiamo una predominanza parasimpatica; vale per l’uomo, ma pure per gli animali, anche se non ascoltano Mozart.
Procediamo con ordine: il tono simpatico (disposizione alla concentrazione, all’allerta, all’attacco o alla fuga) è innescato da una serie di molecole endogene la più importante delle quali è l’adrenalina, similmente l’attività vagale, che trova invece alleanza con un neurotrasmettitore denominato acetil-colina. Ancora un esempio: se un cervo, un lupo, un orso, un uomo devono affrontare un combattimento (reale o simbolico) con un rivale avranno quindi una marcata attività simpatica (simpatico-adrenergica); poi si riposeranno, si distrarranno, mangeranno e faranno la pennichella: a quel punto prevarrà il Parasimpatico.
Un conflitto per il controllo di un territorio di caccia, in un branco di lupi, per una zona del pollaio nelle mie galline o per avere certi incarichi di prestigio in ufficio, innesca in contesti sia pur così diversi meccanismi neurofisiologici molto simili in cui il Sistema Simpatico farà da padrone.
Questa breve premessa neurofunzionale mi serve per spiegare al lettore cosa sia in sintesi lo stress “cronico”. Esso è la condizione determinata dal terzo modello di reazione:
LA PARALISI. Una fastidiosa ansia che si prolunga nel tempo, il timore del verificarsi di un evento nefasto che però tarda a venire, il dover sopportare una fatica esistenziale di cui non s’intravvede la fine, sono esempi di situazioni che pongono l’individuo (uomo o animale che sia) in uno stato di stress cronico: l’attività simpatico-adrenergica resta elevata, non lascia spazio a quella vagale. I due sistemi, Simpatico e Parasimpatico, perdono la loro capacità d’alternanza spontanea, l’organismo è pieno d’adrenalina, il ritmo cardiaco è esaltato (tachicardia), il respiro corto, la muscolatura tesa, i valori pressori elevati. È probabile che l’individuo abbia disturbi nelle ore notturne, si senta stanco ed assonnato, ma non riesca a dormire; nel sonno si riducono le fasi ad “onde delta” (sonno profondo) a favore di quelle “REM”. È come se l’individuo non riuscisse mai a staccare, a darsi pace.
Un’immagine esplicativa è quella della tigre che sta braccando la gazzella: il felino è concentratissimo, i muscoli paiono corde d’acciaio, il respiro è impercettibile. Al momento giusto questo fascio di nervi balza sulla povera vittima, la uccide in pochi secondi ed inizia con calma a divorarla, scegliendo accuratamente le parti migliori. Già durante il pasto l’assetto neurofisiologico della tigre cambia totalmente: i muscoli si ammorbidiscono, il respiro si fa lento e profondo e gradatamente interviene la sonnolenza, Per molte ore, con la pancia piena, la tigre feroce si trasformerà in un gattone indolente. Quando l’animale è sazio, a meno che non abbia paura, è praticamente inoffensivo anche allo stato selvatico. Ma immaginiamo di sottrarre la preda per decine di volte ad una tigre affamata, o peggio ancora di inibirne ripetutamente il comportamento d’attacco al momento dello scatto; l’animale resterà costantemente teso e nervoso, poi finirà per sentirsi male, diverrà mortificato e depresso.
Occupandomi da decenni di comportamento animale ho potuto constatare come il conflitto di territorio, sfoci non di rado in patologie della vescica. Teniamo presente che l’urina è il mezzo attraverso cui i mammiferi circoscrivono il territorio. Gli esempi potrebbero essere tanti, ma l’importante è ritenere che in natura un comportamento d’attacco e fuga la cui la carica non trovi la via di scarica condurrà ad uno stato di tensione cronica, di stasi energetica e progressivamente di infiammazione sistemica (generale). Il medicopsicanalista austriaco Willelm Reich (discepolo dissidente di Freud) nel suo prezioso lavoro La funzione dell’orgasmo, mette in evidenza come in soggetti in cui, per motivi di malattia o di altro impedimento, venga inibita ripetutamente la naturale scarica orgasmica dopo un crescendo dell’eccitazione sessuale, si manifesti facilmente una patologia psico-organica, perfino il cancro. Relativamente di recente gli studi di Francesco Bottaccioli, filosofo della scienza, hanno reso evidenti le forti interazioni tra attività del sistema nervoso (centrale e periferico), sistema endocrino, emozioni e comportamenti. Ne è nata addirittura una nuova branca del sapere scientifico che va sotto il nome di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia (PNEI). Pochi anni fa, il ricercatore statunitense George Slavich, al Norman Cousins Psychoneuroimmunology - UCLA (California) puntava il dito contro lo stress cronico come importantissima causa di infiammazione sistemica e come preambolo biologico di molte patologie organiche; si è scoperto come sentimenti quali la paura, il senso di mortificazione, la rabbia inespressa – se protratti nel tempo – favoriscano l’attivazione di molecole presenti nell’organismo dei mammiferi che vanno sotto il nome di citochine pro-infiammatorie.
Mi avvio a concludere. Nel Manifesto del 1848 Marx ed Engels scrivevano: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della Vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe”. Parole identiche le potremmo utilizzare oggi, solamente dobbiamo sostituire lo spettro del comunismo con quello di un virus, “Il Bastardo”, come lo chiamava con reiterata ostinazione Gianluigi Nuzzi, giornalista di Rete-4, ad ogni puntata di Quarto Grado.
E noi? … Noi ce la fac evamo sotto dalla PAURA. Nei mesi del look down la paura del virus, del contagio, dell’isolamento, della morte per soffocamento hanno regnato sovrani; migliaia e migliaia di persone – soprattutto se prive di strumenti culturali atti a valutare criticamente la valanga di informazioni terrorizzanti vomitate senza alcun ritegno dai mezzi d’informazione di massa – hanno vissuto e cronicizzato uno stato d’allerta che certamente non ha giovato alla loro salute, né fisica né mentale.
Pur dissociandomi con fermezza da ogni atteggiamento negazionista o di svalutazione del rischio credo di poter affermare che la paura ha creato – e sta ancora creando – danni tutt’altro che trascurabili, forse non inferiori a quelli causati dallo stesso Covid-19. Nella mia pur limitata esperienza clinica ho conosciuto persone che sono regredite in una dimensione di ritrazione psichica e comportamentale, di ansia cronica, dalla quale faranno fatica a liberarsi. E in tutto ciò – senza ombra di dubbio – chi detiene le redini dell’informazione di massa ha una responsabilità che non può e non dev’essere sminuita: a cominciare dagli scienziati fino alla stampa ed alle televisioni. Sulle implicazioni sociali, psicologiche, economiche, sanitarie di come è stata gestita l’informazione sulla pandemia del 2020 giudicherà la storia, ma il verdetto non sarà leggero.