La fibromialgia, questa sconosciuta: la parola allo psicologo

Mercoledì 29 gennaio 2020

Se parliamo ad un paziente di fibromialgia osserveremo reazioni diverse, in uno spettro di emozioni che vanno dalla paura all'incredulità. Molti reagiscono con apprensione a fronte di un concetto clinico di cui conoscono i contenuti in maniera vaga ed a volte pregiudizievole. Ma anche il medico può non avere le idee chiare, tantomeno lo psicologo. D'altra parte la fibromialgia è una sindrome – cioè un insieme di sintomi con eziopatogenesi multifattoriale – alla cui diagnosi si arriva in gran parte per esclusione. Cos'é necessario escludere? Di fondo alcune malattie gravi delle aree reumatologica, ortopedica, neurologica e psichiatrica, che possono presentare sintomi uguali a quelli della fibromialgia. Nella diagnosi differenziale è importante tenere in considerazione, ad esempio, la sclerosi multipla, la malattia di Lyme, l'artrite reumatoide, la cosiddetta CIDP (polineuropatia demielinizzante cronica), nonché la “conversione” psicosomatica di derivazione psichiatrica, più frequente ed insidiosa di quanto non si creda (Freud parlava di isteria di conversione). Certamente – là dove c'è infiammazione neuromuscolare, anche se sotto-soglia e non evidente – è possibile la presenza di dolore idiopatico, cioè una manifestazione di sofferenza algica, avvertita dal soggetto, alla quale però non è possibile collegare una causa diretta. Ancora un esempio: nella mia esperienza, ormai lunga data l'età, mi sono imbattutto più volte in adolescenti caratteropatici con seri dolori alle braccia e alle gambe, pure in assenza di un riscontro clinico preciso, così pure è noto che il dolore muscolare accompagni a volte il paziente depresso.

Ma procediamo con ordine e proviamo a decrivere un soggetto fibromialgico tipico: spesso (ma non sempre) è un adulto di sesso femminile; lamenta una dolenzia ad andamento cronico, o almeno frequente, non acuta, a volte urente (sensazione di bruciore) localizzata in alcune zone del corpo: braccia, gambe, collo e cingolo scapolare, area lombare, più raramente glutei e perineo. Il dolore è invalidante, ma sopportabile e s'intensifica con gli stress emotivi, con la fatica, con l'umidità e la stagione fredda. La persona solitamente riesce a svolgere le proprie mansioni lavorative e domestiche, ma con comprensibile mortificazione di ogni spinta vitale. Il fibromialgico appare allora cupo e provato, non di rado infastidito da ciò che lo circonda. La muscolatura alla palpazione si presente leggermente ipertonica, solo occasionalmente in maniera marcata. Alcuni specialisti fanno elettivamente diagnosi di fibromialgia se il paziente reagisce positivamente alla digitopressione sui cosiddetti “tender-points” (punti di tensione con dolore localizzato), da non confondere con i “trigger points” (punti di tensione con dolore irradiante).

L'idea che mi sono fatto – per altro abbastanza condivisa in genere anche dai reumatologi – osservando negli anni una trentina di pazienti con dolore muscolare idiopatico, è che la componente personologica sia di fondamentale importanza nella patogenesi del quadro: oserei dire che “i fibromialgici si assomigliano tutti”. È un'affermazione volutamente esagerata, ma contiene uno sfondo di verità. All'anamnesi psicologica remota si rintraccia sovente un'antica aggressività rimossa, radicata in pregresse e mai risolte situazioni conflittuali o in frustrazioni ataviche mai veramente superate. Il fibromialgico ha spesso validi motivi per essere arrabbiato, ma raramente ha espresso questo sentimento in maniera costruttiva, il più delle volte si è ritirato in un bozzolo d'implosione energetica dal quale esce solo con sprazzi di disforia episodica. Spesso ha tendenza alessitimica, cioè non riconosce le proprie emozioni e le trasforma in rigidità somatica.

Il problema è che quando si annuncia ad un paziente la sua probabile fibromialgia solitamente non si è supportati da esami oggettivi di laboratorio: non esistono marcatori biologici che diano positività. Tuttavia test approfonditi, non facili da eseguire, possono mettere in evidenza anomalie neurotrasmettitoriali a carico del sistema serotoninergico (deficit nei recettori 5-HT), della sostanza-P (livelli plasmatici elevati) e valori “borderline” della PCR (Proteina C Reattiva). Anche le citochine pro-infiammatorie possono essere elevate. In sintesi il quadro biochimico della fibromialgia è di una modesta, ma perniciosa infiammazione sistemica con specifico interessamento di quelle molecole endogene e di quelle vie che regolano la percezione del dolore; quindi tutta la complessità biochimica dell'infiammazione interfaccia con la sindrome fibromialgica.

Un altro aspetto sul quale si dovrebbe concentrare la ricerca eziologica riguarda il vasto capitolo delle cosiddette “canalopatie”, cioè malattie alla cui origine è presente un'alterazione importante delle proteine che favoriscono il funzionamento dei canali ionici (canale del calcio, del sodio e del potassio). Un malfunzionamento degli scambi ionici determina patologie in cui il sintomo algico è facilmente presente.

Sempre dalla mia esperienza, per altro discussa e condivisa con diversi medici, ho appreso che una percentuale significativa di fibromialgici risponde positivamente al trattamento con antidepressivi. Ho visto casi di dolore cronico, insistente da anni, avere un miglioramento evidente e duraturo dopo due mesi di cura con antidepressivi S.S.R.I (inibitori della ricaptazione della 5-HT), quali, ad esempio, fluoxetina, paroxetina, sertralina e citalopram. Tutto ciò ha portato alcuni clinici a considerare la fibromialgia una sorta di “depressione mascherata”.

È opportuna tuttavia una precisazione: la maggior parte degli antidepressivi agiscono come modulatori della serotonina, più precisamente come regolatori del sistema recettoriale della serotonina (5-HT-Receptors); il fenomeno di regolazione recettoriale prende il nome tecnico di Down Regulation. Ma una buona modulazione serotoninergica non va considerata necessaria solamente nell'equilibrio del tono dell'umore (eutimia), nell'ansia e in generale nei fenomeni psichici. È stato comprovato, ad esempio, che è fondamentale anche nella regolazione delle vie del dolore, nel funzionamento dei meccanismi vaso-pressori e nella termoregolazione. Possiamo quindi affermare che il sistema serotoninergico (su cui agiscono gli antidepressivi) è implicato, direttamente o indirettamente, in tutta la regolazione psicosomatica.

Affrontiamo ora, sia pur succintamente, il capitolo della terapia, privilegiando, dato il contesto, la riflessione sulla psicoterapia. È mio parere che nel soggetto fibromialgico la terapia psicologica sia sempre opportuna, naturalmente là dove le caratteristiche personologiche del soggetto stesso la consentano: il paziente dev'essere disponibile, sufficientemente capace di introspezione e portato a stabilire una relazione tranferale col terapeuta di natura positiva. È importante inoltre la disposizione culturale ad accettare l'esistenza di una corrispondenza tra universo psichico e fenomeni somatici.

In un'ottica bioenergetica è molto probabile che l'individuo abbia messo in atto inconsapevolmente meccanismi di difesa arcaici, sorretti (al livello biologico-funzionale) da un prevalere della tonalità simpatico-adrenergica (lotta e fuga) su quella parasimpatico-colinergica (resa ed inattività). Il fibromialgico cronicizza uno stato d'allerta, di apprensione nei confronti della vita, con conseguente atteggiamento di ipercontrollo. La stanchezza che sovente avverte non è da leggersi esclusivamente in senso biochimico, ma anche bioenergetico: spende una gran quantità d'energia nella gestione della quotidianità, a volte con la preoccupazione di non essere all'altezza, di non farcela, di non arrivare in tempo. È necessario quindi, per il buon esito della cura, che il paziente esca dallo schema mentale dell'essere un “condannato ai lavori forzati” (quindi dalla cronicità simpatico-adrenergica) ed inauguri – ovviamente per passi graduali – una modalità esistenziale in cui l'alternanza attività-riposo scandisca effettivamente il percorso di vita.

Il fibromialgico non riposa mai veramente, neppure durante il sonno notturno: lo stato di allerta, inconscio e cronico, riduce le fasi di sonno ad onde-delta, per cui la muscolatura resta attiva, con quella miotonicità che dovrebbe caratterizzare solo gli stati dell'agire. Il riposo dovrebbe essere un vero non-agire (e quando parlo di “azione” non intendo necessariamente l'agire materiale, ma soprattutto l'agire mentale).

Nella storia filogenetica dei mammiferi il Sistema Nervoso Simpatico - correlato all'adrenalina ed alla nor-adrenalina - governa i comportamenti di azione, soprattutto attacco e fuga (reali, presunti reali e simbolici), con i corrispondenti meccanismi fisiologici della vasocostrizione, del rialzo pressorio e dell'aumento del battito cardiaco; al contrario il Sistema Nervoso Parasimpatico (vagale) gestisce quelli della non-azione, del riposo, rilassamento e sonno, correlati alla vasodilatazione ed alla diminuzione dell'attività del cuore. I due sistemi si rapportano tra loro in senso antagonista.

Veniamo ora ad un breve cenno sulla terapia farmacologica, che non tratteremo in maniera esaustiva. Come si è detto gli antidepressivi sono spesso efficaci per due motivi: il primo è che agiscono come modulatori delle vie del dolore, il secondo è da riferirsi all'azione di potenziamento del sentimento di sicurezza che soprattutto gli S.S.R.I. determinano. Una sensibile dimunuzione del dolore e della rigidità muscolare si manifestano dopo circa trenta giorni di trattamento; spesso il dolore scompare entro il quarantesimo giorno. Ciò che biochimicamente è avenuto, a questo punto, è un fenomeno di regolazione neurorecettoriale (Dawn Regulation) come processo terminale di quella cascata chimica di eventi che ha inizio con l'inibizione della ricaptazione della serotonina (Reuptake-5-HT-Inibitor) determinata dall'antidepressivo.

Oggi anche la Medicina Sistemica e di Regolazione è in grado di ottenere buoni risultati giocando sull'equilibrio della varie citochine, appunto “regolando” le citochine pro-infiammatorie, componenti fondamentali nella percezione del dolore.

In conclusione possiamo affermare che il fibromialgico è un soggetto psicosomatico in cui una predisposizione personologica e forse genetica favorisce la "conversione" di fattori emozionali in processi infiammatori somatici. La rieducazione alla percezione ed alla gestione delle emozioni, unitamente all'appropriato aiuto farmacologico, possono essere per il paziente un vero e proprio percorso verso la liberazione.


di Gianni Tadolini


Bibliografia essenziale:

- Grieco A. - Fibromialgia: finalmente buone notizie - 2017

- Mergui A. - Prigionieri della fibromialgia, 2011

- Tadolini G. - Valentini M. - Sistema immunitario baricentro della vita, 2017

- Todesco et al. - Malattie reumatiche, 2007




Scarica l'articolo completo in .pdf